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lunedì 7 febbraio 2011

Rom e sinti, in Italia 150 mila nomadi

Circa 150mila i residenti nel nostro Paese. Dopo la prima guerra mondiale dall'Europa orientale circa 7mila rom, un terzo gruppo di circa 40mila è arrivato negli anni '60 e '70
Rom, sinti e camminanti costituiscono una minoranza linguistica e culturale storica, ancora non riconosciuta dalla legislazione italiana. Non ci sono dati precisi sulla loro presenza in Italia: le stime collocano tra 120.000 e 170.000 quelli residenti nel nostro Paese, di cui la metà (circa 70.000 persone) hanno la cittadinanza italiana.
Su questa presenza cerca da tempo di far luce l'Unar, l'Ufficio antidiscriminazioni creato in seno al Dipartimento per le pari opportunità, che lo scorso anno ha commissionato un'indagine sul campo realizzata dall'Iref, dalla Fondazione Don Luigi di Liegro e dalla cooperativa Codres con un focus particolare su quattro regioni-obiettivo: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.

CHI SONO. In Italia i gruppi maggiormente diffusi sono i rom (residenti in tutte le regioni italiane) e i sinti (soprattutto nel Nord e nel Centro); è poi presente una minoranza di camminanti (in Sicilia). Secondo alcune stime, le popolazioni rom di antico insediamento sedentarizzate nelle regioni del centro-sud ammontano a circa 30.000 unità e altrettanti sono i sinti residenti nell'Italia centro-settentrionale. Dopo la prima guerra mondiale sono giunti dall'Europa orientale circa 7.000 rom, mentre un terzo gruppo ben più consistente di circa 40.000
rom è arrivato in Italia negli anni '60 e '70. Infine, a seguito del crollo dei regimi comunisti nell'Europa dell'Est e alla guerra nell'ex-Jugoslavia, dal 1992 al 2000 in Italia si calcola siano arrivati da ex Jugoslavia, Albania e Romania circa 16.000 zingari, disseminati su tutto il territorio nazionale.

NON TUTELATI. Allo stato attuale, non esiste nel nostro ordinamento alcuna norma che preveda e disciplini l'inclusione e il riconoscimento delle popolazioni zingare nell'alveo delle minoranze etnico-linguistiche tutelate dall'art.6 della Costituzione. In questo "vuoto", un ruolo fondamentale è stato svolto dalla legislazione regionale. La nascita dei "campi nomadi" risale alla fine degli anni Ottanta, quando, sotto la spinta dell'emergenza causata dagli ingenti flussi migratori provenienti dall'ex Jugoslavia, le regioni decisero di realizzare programmi di intervento nel settore della tutela e della promozione culturale di queste minoranze. Attualmente, metà delle regioni italiane e la provincia autonoma di Trento si sono dotate di leggi specifiche per la loro protezione; queste leggi prescrivono che gli insediamenti debbano essere dislocati in aree metropolitane non degradate dotate di infrastrutture, elettricità, servizi igienici, acqua potabile, fognature e raccolta dei rifiuti, con facile accesso ai servizi socio-sanitari e alle scuole. Secondo la ricerca tali prescrizioni sono lungi dall'essere rispettate anche nei cosiddetti "campi autorizzati": i Comuni, responsabili della costruzione e gestione dei campi sosta, raramente ottemperano le disposizioni regionali, incoraggiando di fatto la costruzione di insediamenti abusivi.

LA MAPPA DEI CAMPI. A fronte del diffuso stereotipo che dipinge i rom come un gruppo nomade, la stragrande maggioranza degli zingari è stanziale, non avendo mai praticato alcuna forma di nomadismo. Eppure, l'istituzione stessa di "campi sosta per nomadi" incorpora l'idea che preferiscano vivere in campi isolati. Nelle 4 regioni prese in considerazione dalla ricerca ci sono 98 insediamenti. Si tratta per lo più di campi non autorizzati, composti in prevalenza da baracche e/o roulotte, spesso privi di acqua e luce. In questo scenario si discostano poche realtà insediative in cui le comunità vivono in abitazioni in muratura dotate degli essenziali servizi domestici: nella città di Cosenza risiede da anni una comunità di zingari italiani alloggiati in case popolari; allo stesso modo nel comune di Paduli (Benevento); a Lecce c'è un insediamento di Rom montenegrini che hanno preso degli appartamenti in affitto; nella città di Catania un gruppo di Rom ha trovato sistemazione in case in affitto, anche se fatiscenti. La Campania è la regione con il più alto numero di insediamenti (31). Nel complesso, si nota una forte concentrazione degli insediamenti nelle città più grandi.

MODELLO DI INTERVENTO. La ricerca sottolinea la centralità del lavoro per l'inclusione sociale di queste minoranze. Il lavoro permette di pagare l'affitto e le utenze, dà la possibilità ai genitori rom di mandare a scuola i propri figli, pagare cure mediche e avere maggiore cura della propria persona.
A sua volta l'istruzione aiuta a trovare lavoro e insegna il valore dell'igiene e della cura personale; l'abitazione è un punto fermo che aiuta a trovare lavoro, migliora le condizioni igieniche e facilita i bambini rom nel frequentare un istituto scolastico; infine la cura della persona facilita l'inserimento sia in un ambiente lavorativo che in uno scolastico.


(07 febbraio 2011) © Riproduzione riservata

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